mercoledì 5 settembre 2007

Spingendo la notte più in là

Laltra sera eravamo sole in casa mia madre e io. Finita la cena abbiamo fatto il rapido e tradizionale giro dei canali per vedere cosa facessero in tv. Ci stavamo deprimendo (come è naturale che sia con la programmazione che ci propinano in tutti i periodi dellanno) quando su La 7 abbiamo visto Antonello Piroso in maniche di camicia che parlava dei "Figli di..."

Incuriosite (a casa mia amiamo il Piroso Style e come ha organizzato il telegiornale de LA 7) ci siamo fermate e abbiamo scoperto che andava a presentare un libro: Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi, il figlio del Commissario Luigi Calabresi ucciso a Milano il 17 maggio 1972 a seguito di una campagna diffamatoria condotta da giornali e liberi pensatori che lo indicava come il responsabile della morte di Giuseppe Pinelli (anarchico coinvolto nelle indagini sulla strage in Piazza Fontana) caduto dalla finestra dellufficio di Calabresi dopo due giorni di fermo di polizia illegale.

Affascinata da questo periodo storico così vicino alla mia nascita e del quale conosco ancora così poco mi sono piazzata sul divano. Vedere entrare Mario Calabresi, classe 1970 giornalista affermato di Repubblica, mi ha fatto un certo effetto. Sembra un uomo mite che dimostra più anni di quelli che ha. Sembra portarsi sulle spalle un peso enorme. Visibilmente commossi i due giornalisti hanno iniziato a parlare del libro e di cosa ha significato portarsi dietro un nome così ingombrante.

E stata davvero unesperienza penosa, nel senso letterale del termine, che ha aperto una piccola finestra su una realtà colpevolmente taciuta in Italia.

Parla bene (e scrive anche meglio) questo Calabresi e racconta episodi che lhanno segnato e che hanno segnato anche altri famigliari di vittime degli anni di piombo. E poi parla degli uomini che hanno ucciso, ma non cè rabbia, non cè una richiesta di vendetta, anzi. Cè un profondo rispetto dello Stato e delle sue leggi che permettono a gente che ha ucciso, che è sceso in guerra contro lo Stato e non si è fatta scrupolo di ammazzare anche innocenti, di sedere in Parlamento, di ricoprire cariche istituzionali.

Mi hanno colpito alcuni passi del libro che riguardano la vedova Calabresi.

"Mamma trovò dentro di sé regole chiare su come dovevamo comportarci: mai una polemica, mai una parola di troppo, rispetto e gentilezza per tutti e soprattutto fiducia nella magistratura. <<Non cerchiamo vendette, cerchiamo giustizia e accettermo i verdetti che verranno>> ci disse con chiarezza allalba della prima udienza, mentre eravamo seduti in cucina. <<Ho fatto di tutto perché non cresceste nel rancore e nellodio e non voglio certo che adesso si rovini tutto.>>

E poi quando nel 90 vennero condannati i mandanti e gli esecutori dellomicidio la signora in aula pianse.

"Quando in aula capimmo che gl imputati erano stati condannati, mia madre cominciò a piangere. Le chiesi perché. Pensavo fossero i ricordi. Mi spiazzò: <<Perché la figlia di Bompressi,. oggi ha perso il padre.>>"

Credo che sia una lezione di grande rispetto e civiltà.

Considero i 14 euro e 50 i migliori soldi spesi in libreria... e forse i migliori soldi spesi in assoluto.



Dalla quarta di copertina:

È la mattina del 17 maggio 1972, e la pistola puntata alle spalle del commissario Luigi Calabresi cambierà per sempre la storia italiana. Di lì a poco il nostro paese scivolerà in uno dei suoi periodi più bui, i cosiddetti "anni di piombo", "la notte della Repubblica". Quei due colpi di pistola però non cambiarono solo il corso degli eventi pubblici, ma sconvolsero radicalmente la vita di molti innocenti. La storia dellomicidio Calabresi è anche la storia di chi è rimasto dopo la morte di un commissario che era anche un marito e un padre. E di tutti quelli che hanno continuato a vivere dopo aver perso la persona amata durante la violenta stagione del terrorismo. Mario Calabresi, oggi giornalista di "Repubblica", racconta la storia e le storie di quanti sono rimasti fuori dalla memoria degli anni di piombo, lesistenza delle "altre" vittime del terrorismo, dei figli e delle mogli di chi è morto: cè chi non ha avuto più la forza di ripartire, di sopportare la disattenzione pubblica, loblio collettivo; e cè chi non ha mai smesso di lottare perché fosse rispettata la memoria e per non farsi inghiottire dai rimorsi. La storia della sua famiglia si intreccia così con quella di tanti altri (la figlia di Antonio Custra, di Luigi Marangoni o il figlio di Emilio Alessandrini) costretti allimprovviso ad affrontare, soli, una catastrofe privata, che deve appartenere a tutti noi.

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